Oggi vi tocca confidare nelle seguenti parole: questo testo è stato scritto da un essere umano. Ci tengo a specificarlo perché proprio in questo numero, per la prima volta nella storia di Speak Up, appare un articolo scritto interamente da un computer.
L’articolo in questione, scritto — ma forse dovrei dire ‘prodotto’o meglio ancora ‘generato’— da un’intelligenza artificiale chiamata ChatGPT, si riconosce molto facilmente: l’ha firmato lui, il Chat Generative Pre-trained Transformer, e non è nient’altro che una presentazione di se stesso, una spiegazione di che cosa è, e di come funziona. Dopo alcune brevi interazioni con il software, questo ci ha consegnato un testo grammaticalmente e ortograficamente impeccabile, pertinente, e capace di informare in modo efficace. È difficile criticare il lavoro del ChatGPT, anche se ci piacerebbe trovargli qualche difetto. Al limite si potrebbe accusarlo di non avere un carattere proprio, o di produrre testi senza ingegno e senza senso dell’umorismo, ma nel complesso non sapremmo dare una definizione all’insieme delle sue lacune.
L’autore di fantascienza Arthur C. Clarke sosteneva che le tecnologie più avanzate non sarebbero state dissimili dalla magia. In effetti, la relazione con il ChatGPT provoca sensazioni ambivalenti. Da un lato, chiacchierare con questa IA sembra un gioco affascinante ed emozionante, con il quale mettiamo alla prova sia la macchina, sia noi stessi. Dall’altro, è inevitabile provare un certo timore verso questa forma di intelligenza che mette a repentaglio le nostre professioni di autori, traduttori, e correttori, e non solo le nostre: un’ansia quasi metafisica, di fronte a un abisso di possibilità.
I luddisti che distruggevano i telai meccanici agli inizi della Rivoluzione Industriale furono oggetto di caricature che li ritraevano come bifolchi retrogradi, incapaci di comprendere i benefici del progresso. In realtà le loro proteste violente non avevano solo l’obiettivo di sabotare gli avanzamenti portatori di maggiore efficienza e di nuova ricchezza, ma anche quello di evitare che il potere derivante dall’uso delle macchine si concentrasse nelle mani di una minoranza, e che venisse utilizzato per accumulare capitali a spese del resto dell’umanità; all’atto pratico, gli sviluppi tecnologici hanno spesso comportato questo genere di conseguenze.
Come predisse John Maynard Keynes quasi un secolo fa, in un futuro automatizzato sarebbe stato sufficiente lavorare quindici ore alla settimana per poter vivere in maniera dignitosa e probabilmente, in un tale contesto, a ben pochi importerebbe sapere se i testi pubblicati sono opera di una macchina, o di un essere umano.